Perché utilizziamo solo caffè di singola piantagione?

In un’epoca che mescola tutto, sapori, storie, voci, noi scegliamo la chiarezza.


Non per nostalgia o purismo, ma per un bisogno di realtà. Perché in un chicco tracciato fino alla sua terra, non c’è marketing: c’è geologia, c’è clima, c’è la tensione minerale di un terreno che vuole essere ascoltato.

Il caffè di singola origine è la prova che la materia ha memoria.

Ogni pianta conserva il linguaggio del suolo che la nutre, ogni raccolto traduce una stagione, ogni fermentazione scrive una nuova variabile nel codice della vita. Noi lo leggiamo, lo tostiamo, lo rendiamo di nuovo leggibile.

Bere una singola origine è un atto di attenzione.


È accettare che un caffè non debba piacere a tutti, che possa avere una voce propria, che sappia di pesca, di fiori o di vento, che parli del suo territorio. È capire che l’uniformità è una forma di amnesia.

Noi di Aliena cerchiamo questo: la differenza che racconta, la complessità che non ha paura di mostrarsi.

Un caffè proveniente da una sola fattoria, da una sola collina, è il contrario dell’anonimato. È un luogo che si manifesta in forma liquida, le mani e le distanze.

Coltivare in un certo modo significa scegliere di dialogare con la terra invece che dominarla, trasformando ogni raccolto in un atto di coscienza agricola.

Ogni volta che l’acqua incontra la polvere, il pianeta si riaccende per un istante:
la luce dell’Etiopia, l’altitudine del Guatemala, la densità del Kenya, la pioggia del Perù.
Bevendo, entriamo in contatto con tutto questo.

Forse è questo che ci rende alieni: il voler sentire il mondo, non solo consumarlo.
Perché la singola origine non è una tendenza, è un ritorno.
Un modo per dire che ogni cosa autentica nasce da un punto preciso del cosmo.
E che in quel punto, se ascolti bene, la Terra parla.

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